Una rivoluzione chiamata Big Data

da Redazione | 16 Giugno 2022 | Direction |

Proviamo a pensare a una nostra giornata tipo: quante volte clicchiamo su un sito web? Quante volte interagiamo su un social network o ci connettiamo attraverso uno smartphone? La risposta più facile sarebbe “tantissime”, ma quella più precisa è probabilmente “sempre di più”. Siamo sempre più connessi, interagiamo sempre di più, acquistiamo online sempre di più e tutto questo genera in realtà una massa enorme di dati, che IDC si aspetta crescere del 23% tra il 2020 e il 2025. Questi dati, detti anche i Big Data, sono una sorta di nuovo petrolio, perché le aziende possono utilizzarli per analizzarli in tempo reale e trarre indicazioni utili, non solo e non tanto sull’andamento del proprio business e su come orientarlo, ma su come agire nell’immediato, nel momento presente.


Quello dell’analisi, ovviamente, è un passaggio fondamentale perché i dati grezzi e lasciati a loro stessi sono un patrimonio abbastanza inutile. Affinché possano generare davvero valore, infatti, i dati devono essere analizzati, il che implica a sua volta, cosa ovvia a dirsi ma tutt’altro che facile a tradursi in realtà, che occorrono persone con le competenze adeguate per farlo.
Sembra tutto molto ovvio e molto lineare ma, nei fatti, le cose lo sono molto meno: di solito, infatti, l’analisi dei dati viene demandata a un ristretto numero di data scientist che non sempre riescono e possono comunicare con tutto il resto dell’azienda, con i risultati frustranti che possiamo immaginare. Quello che si richiede oggi alle organizzazioni di successo è invece un radicale cambiamento a livello culturale, affinché sia possibile che la conoscenza dei dati, la cosiddetta data literacy, diventi appannaggio di un numero di persone il più possibile alto e a tutti i livelli aziendali.
Se le aziende vorranno essere davvero data-driven dovranno quindi, in ultima analisi, investire molto nella formazione dei dipendenti.


Dal canto loro, i vendor di software per le analytics stanno agevolando il compito e lavorando per realizzare tool sempre più intuitivi e alla portata anche dei non specialisti.
In fondo, è tutta una questione di velocità: la velocità che caratterizza ormai tutti i mercati, la velocità che viene richiesta ai decisori aziendali, la velocità che ha reso quasi obsoleta la business intelligence tradizionale, quella che lavorava su uno storico di dati per capire come il business si era evoluto e trarne, eventualmente, indicazioni per il futuro. Oggi i dati a disposizione per l’attività decisionale devono essere in tempo reale, devono aiutare i decisori ad agire in fretta e possibilmente bene, devono essere una priorità a tutti i livelli aziendali.


Big Data – potremmo dire – “are here to stay” e ogni organizzazione che vorrà essere competitiva dovrà agire dando loro la giusta importanza.

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