La formazione come antidoto: che cosa fare di fronte alle Grandi Dimissioni

da Redazione | 18 Gennaio 2023 | Learning |

Dall’ormai tradizionale video di Google “Year in Search”, emerge che la frase più cercata su Google è “Can I change”. Una frase che deve far pensare, soprattutto in un tempo in cui si parla sempre più spesso di “Grandi Dimissioni”.

Naturalmente la voglia di cambiamento non riguarda soltanto il contesto lavorativo e di formazione, ma nessuna azienda può ignorare i segnali che arrivano unanimi da praticamente tutto il mondo.
Il fenomeno, a detta degli esperti è una diretta conseguenza degli effetti della pandemia a livello psicologico e sociale: il periodo di lockdown, il lavoro da remoto, il burnout da una parte o un migliore work life balance dall’altra hanno spinto le persone alla ricerca del benessere e a una revisione profonda delle loro priorità.

Il fenomeno delle Grandi Dimissioni in dati

Se in Italia il fenomeno delle Grandi Dimissioni non ha avuto la stessa portata che ha avuto negli USA – si consideri che ad agosto 2021 più di 4 milioni di americani hanno lasciato il lavoro volontariamente – l’Osservatorio sul precariato dell’INPS riporta comunque che nel 2022 le dimissioni sono cresciute di un terzo rispetto al 2021.
E una ricerca di McKinsey effettuata su un campione di seimila persone in Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti ha infine evidenziato che il 36% delle persone che lasciano il lavoro non ha un’alternativa pronta tra le mani.

Inutile negare che questa tendenza mina profondamente la competitività, la stabilità e la salute delle organizzazioni, ma tra gli strumenti che queste ultime possiedono per trattenere i propri talenti c’è senza dubbio la formazione.

Opportunità di formazione

Dallo studio già citato di McKinsey emerge infatti che il 36% del campione apprezza le opportunità di formazione continua, mentre il rapporto 2022 Global Talent Trends di LinkedIn afferma che il miglioramento delle competenze e le opportunità di crescita all’interno dell’azienda sono due delle massime priorità per i lavoratori di oggi.

Sempre secondo la ricerca di LinkedIn, il 78% dei dipendenti afferma di essere preoccupato di non avere le competenze necessarie per crescere professionalmente e per affrontare le incertezze del prossimo futuro del mondo del lavoro.

E ancora, la ricerca di McKinsey, ci dice che le poche opportunità di formazione e di ampliamento delle proprie competenze sono uno dei principali fattori che spingono i lavoratori a dimettersi.

Un antidoto contro questa tendenza può essere senza dubbio l’upskilling, ossia quell’insieme di interventi formativi finalizzati proprio allo sviluppo di nuove competenze pur all’interno del medesimo ambito di lavoro.

Upskilling e formazione: da dove cominciare

Per un efficace intervento di upskilling, il primo passo è senz’altro capire quale sia il reale divario tra le competenze necessarie al successo dell’organizzazione e quelle realmente presenti in azienda.
Una volta fatto questo, sarà bene condividere con i lavoratori gli obiettivi, i contenuti e le potenzialità dell’intervento formativo, in modo che questi ultimi siano attivamente coinvolti nel processo e non lo vivano come qualcosa di semplicemente calato dall’alto.

La formazione, l’esplorazione delle nuove competenze dovrà essere un elemento costante nella carriera del dipendente e dovrà riguardare tutti i livelli dell’organizzazione, non soltanto quelli più alti o più qualificati.

Se l’organizzazione riuscirà a trasmettere al lavoratore il valore di un simile percorso, l’attenzione alla formazione sarà valutata da quest’ultimo anche più importante di un aumento di stipendio e si sarà fatto un passo importante verso la retention e l’engagement dei propri talenti.
In un momento di mercato dominato dall’incertezza, il turnover può essere infatti una difficoltà aggiuntiva per la competitività aziendale che può e deve essere contrastata.

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