Age management e PA: una sfida non più rinviabile

da Redazione | 08 Luglio 2023 | Direction |

Dici Pubblica Amministrazione e subito pensi a un’automobile utile – spesso indispensabile – ma non esattamente tra le più scattanti o le più sportive. Eppure il processo di modernizzazione della PA è imprescindibile per la competitività del Paese e il PNRR rappresenta un’opportunità decisiva in vista di questo obiettivo. Ma quali sono le azioni da svolgere affinché la PA possa vivere il cambiamento strutturale che sarebbe quanto mai necessario? La sfida è senza dubbio importante perché il tipo di persone che servirebbero alla PA – giovani, competenti, motivate, capaci di gestire il cambiamento – sono le medesime che servono alle aziende private, spesso più attrattive per i talenti delle generazioni più giovani, attenti ad aspetti come flessibilità e work-life balance che non sono propriamente la specialità olimpica della PA.

PA e età media: l’Italia fanalino di coda

A tutto questo si aggiunge un altro fondamentale aspetto. L’età media dei lavoratori della PA in Italia è infatti di circa 50 anni e il nostro Paese ha il più basso tasso percentuale di dipendenti pubblici under 35: il 2% contro il 18% OCSE. A fronte di questa situazione, il Ministro per la Funzione Pubblica intende “ringiovanire” l’apparato statale portando l’età media dei dipendenti a 44 anni entro il 2028. Per questo ambizioso obiettivo, occorrerà assumere circa 1,3 milioni di nuovi collaboratori con un’età media di 28 anni che si troveranno fianco a fianco con una forza lavoro decisamente più anziana.

Age Management per favorire l’integrazione

In una situazione simile acquistano un’importanza decisiva delle appropriate politiche di Age Management volte a favorire al massimo l’integrazione tra generazioni diverse. Se fino a ora queste politiche nella PA hanno rappresentato una novità, oggi non sono più in alcun modo procrastinabili se non si vuole che i giovani fuggano l’impiego pubblico perché troppo lontano dal loro modo di vivere o decidano di restare solo per la stabilità e la sicurezza che garantisce.

Se pensiamo che la cosiddetta work ability o comunque la capacità di essere performanti si abbassa nel tempo, il primo passo da fare sarà quello di distribuire ruoli e mansioni coerentemente con l’età dei lavoratori, strutturare interventi di formazione continua, lungo tutto l’arco lavorativo, e formare una classe dirigente empatica, attenta all’ascolto e capace di favorire la partecipazione.

Ripensare le modalità di recruitment

La sfida che si prospetta dinnanzi alla PA è quindi significativa, basti pensare che, al netto di tutti i discorsi tesi a valorizzare le soft skill, i concorsi pubblici tendono ancora oggi a valutare esclusivamente le conoscenze del candidato, al fine di implementare criteri di valutazione il più possibile neutrali.

La sfida del futuro: apprendere, cambiare e gestire le differenze

Rispettare le differenze, fare sì che il turnover avvenga gradualmente e che il patrimonio di conoscenza delle persone che escono dal mondo del lavoro non vada disperso, motivare chi al momento è disilluso e poco stimolato, permettere ai giovani di portare valore aggiunto saranno tutte azioni indispensabili per il futuro che ci aspetta. Apprendere, cambiare, gestire le differenze: se volessimo riassumere con tre parole il futuro della PA non potremmo trovarne di migliori.

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